venerdì 20 gennaio 2023

Mindfulness e Relazioni

Secondo gli scienziati la mindfulness può rendere le nostre relazioni più felici e nutrienti attraverso vari meccanismi, per citarne alcuni: l’incremento dell’empatia, della gratitudine, il miglioramento della capacità di ascolto e della presenza mentale, l’ampliamento della prospettiva e della flessibilità.

Una delle modalità più importanti è la gestione delle emozioni. Quando diventiamo più consapevoli del nostro stato emotivo possiamo modulare meglio le nostre risposte. Questo avviene perché la mindfulness influenza le capacità esecutive operate dalla corteccia prefrontale del cervello, permettendoci di controllare più efficacemente il nostro comportamento.

Per esempio, se durante l'interazione con un’altra persona sentiamo le emozioni spiacevoli, d’istinto saremo portati a scappare, evitare, sopprimerle.

Facendo qualche respiro, rallentando, possiamo scegliere la risposta “mindful” e fermarci a notare le sensazioni che si muovono nel corpo, le storie che ci racconta la nostra mente... Questo attimo di pausa è utile per focalizzarci sui nostri bisogni, desideri e speranze, piuttosto che su ciò che non va nell’altro.

 

 Se invece è l’altro a sperimentare emozioni forti, potremmo, pur consapevoli del nostro istinto di difenderci, scappare o screditarlo, fare qualche respiro compassionevole e incoraggiare l’esplorazione reciproca di ciò che sta succedendo nella nostra relazione.

La pratica di mindfulness aiuta a trasformare i comportamenti automatici, abituali e condizionati in scelte deliberate, consapevoli.

Una delle componenti fondamentali della mindfulness è la compassione, che può essere coltivata anche con le pratiche appositamente disegnate per sviluppare la benevolenza verso sé stessi e verso gli altri.


Dobbiamo essere equilibrati e gentili con noi stessi per costruire le relazioni equilibrate e improntate sul rispetto reciproco. Una ricerca ha scoperto che gli individui autocompassionevoli erano più propensi a negoziare in situazioni di conflitto con genitori e partner, mentre coloro che difettavano di autocompassione tendevano a rinunciare ai propri bisogni e a subordinare le proprie scelte alle necessità altrui. 

Molti di noi non sono abituati a riconoscere e validare i propri bisogni, a volte li confondono dicendo: "a me basta che tu sia contento". Non possiamo appagare un bisogno di cui esistenza non ci rendiamo conto e siamo perennemente insoddisfatti senza sapere il perché...




lunedì 12 settembre 2022

Concentrazione, il Flusso e la Mindfulness


      Sei mai stato così assorbit* da un‘attività da perdere la cognizione del tempo? Da non sentire che  
qualcuno Ti stava chiamando o, da dimenticarti i bisogni corporei, come la fame o il sonno? Non importa quale fosse l’attività che Ti aveva catturato: un videogioco, una gara di nuoto, un sudoku o altro. Se hai vissuto un’esperienza simile, Ti sei ritrovat* in uno stato mentale chiamato Flusso (Flow) descritto dallo psicologo ungherese Mihaly Csikszentmihalyi nel 1975.

Il Flusso è lo stato di coscienza caratterizzato da una concentrazione profonda, il focus sull’azione e l’assenza di autoconsapevolezza. E’uno stato che permette agli atleti o agli artisti di raggiungere le performance migliori.

Cosa fare però, quando manca la concentrazione, la pagina di un libro letta e riletta senza memorizzarne il contenuto, un compito noioso che comunque “va fatto”, la lotta estenuante contro le distrazioni… e il Flusso non arriva? In queste situazioni, Ti sarebbe utile avere uno strumento che Ti aiutasse a portare l’ attenzione consapevolmente dov’è necessaria, malgrado le distrazioni? Che ti permettesse di non farti condizionare dai pensieri disturbanti? Questo strumento esiste, questa abilità si chiama Mindfulness, l’esercizio dell’attenzione consapevole, non giudicante, momento per momento.

Secondo gli studi della Psicologia Positiva, sia il Flusso che la Mindfulness sono le modalità benefiche per il nostro equilibrio mentale. Entrambe creano la sensazione di benessere impedendo alla mente di vagare e rimuginare e hanno in comune l’attenzione sul “qui e ora”. Mentre Il Flusso però, “arriva” spontaneamente durante le attività coinvolgenti, piacevoli, la Mindfulness può essere applicata in qualunque situazione, anche per i compiti meno graditi. Cambiando la predisposizione emotiva verso tali compiti, la Mindfulness inoltre, apre la strada all’insorgenza del Flusso.

Una ricerca sui giocatori di baseball australiani ha evidenziato come la Mindfulness può favorire lo stato di Flow in modo che queste due modalità mentali possano essere utilizzate in successione. Gli atleti che hanno seguito un corso di mindfulness di 8 settimane, nei mesi seguenti entravano più facilmente in uno stato di Flow durante gli allenamenti e le gare.

In conclusione, la Mindfulness potrebbe favorire la concentrazione in due modi:

1. allenando alla disciplina di dirigere  consapevolmente l’attenzione secondo le nostre intenzioni 

2. facilitando l’insorgenza del Flusso attraverso un atteggiamento accettante e non critico nei confronti del compito sul quale decidiamo di concentrare la nostra attenzione.

Potrai scoprire di più sulla mindfulness partecipando alla presentazione del corso MBSR (Gestione dello Stress Basata sulla Mindfulness) che farò Sabato 17 settembre alle 15 a Siena

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martedì 15 giugno 2021

GRAZIE, prego, scusi...

 
    Il titolo della canzone di Adriano Celentano contiene tre parole, ciascuna delle quali, oltre ad una formale cortesia, può esprimere un significato più profondo, un modo di vivere, di vedere il mondo. 
In particolare, chi esprime  un  sentito “grazie” si assicura una dose supplementare di felicità in quanto nota qualcosa di buono nella esperienza che sta vivendo. 

Di solito diamo per scontate le piccole cose piacevoli che la vita ci offre, ci abituiamo velocemente al comfort e ai cambiamenti positivi e dopo un po’ non li diamo più importanza. La mente umana preferisce notare quello che manca, che è andato storto, che non funziona, perché è programmata per prevedere i pericoli, aggiustare, riparare quello che non va. Provare la gratitudine vuol dire riconoscere e accettare che qualcosa di buono è accaduto proprio a noi,  che qualcuno  ci ha fatto una gentilezza, che nel mondo esistono anche le cose buone e gioiose.

Molte ricerche scientifiche confermano la relazione positiva  fra la capacità di esprimere gratitudine e il benessere dell’individuo.  Robert Emmons dell’Università UC Davis in California e Michael E. McCullough dell’ University of Miami hanno studiato gli effetti  di gratitudine in oltre mille persone. 
I partecipanti, divisi in due gruppi, dovevano tenere un diario in cui ogni sera annotavano alcune osservazioni. Il primo gruppo scriveva 5 cose andate bene durante la giornata, per le quali potevano essere grati. Poteva trattarsi di una telefonata gradita, un gesto carino di qualcuno, un bel tramonto, o il sentirsi bene fisicamente. L’altro gruppo annotava 5 esperienze negative: non trovare il parcheggio, la risposta scortese da parte di qualcuno, il dolce bruciato al forno, ecc.
Dopo 10 settimane il gruppo  che esprimeva gratitudine riportava la percezione di qualità di vita migliore, più ottimismo, più applicazione nel esercizio fisico e meno necessità di ricorrere alle cure mediche.

Gli effetti positivi della gratitudine osservati da Emmons e McCullough erano evidenti a livello psicologico, fisico e relazionale e consistevano in:
-aumento dell’energia fisica
-miglioramento della qualità del sonno, dell’attenzione e della concentrazione
-riduzione della pressione arteriosa e dei sintomi fisici
-aumento del numero dei  legami interpersonali, miglioramento dei rapporti affettivi

La gratitudine, in definitiva, è il modo in cui le persone apprezzano ciò che hanno, invece di correre alla ricerca di qualcosa di nuovo che dovrebbe renderle felici, o di pensare che non potranno mai essere soddisfatte se loro bisogni materiali o fisici non  saranno completamente appagati.

Lo stato mentale di gratitudine può essere sviluppato e rafforzato con un allenamento costante, che potrebbe comprendere le seguenti “pratiche”:

-Scrivete un biglietto di ringraziamento: esprimete a qualcuno la riconoscenza per il ruolo che ha nella vostra vita; spedite il biglietto o, meglio, recapitate di persona e leggetelo voi stessi al destinatario. Scrivete almeno una lettera di ringraziamento al mese.
-Ringraziate mentalmente: se non avete il tempo di scrivere, pensate a qualcuno che è stato gentile con voi e ringraziatelo
-Tenete il diario di gratitudine e scrivete tutte le sere un pensiero su qualcosa che avete ricevuto durante la giornata; condividete con la persona amata se volete
-Una volta alla settimana  contate e descrivete le esperienze positive vissute durante la settimana, notate le emozioni e le sensazioni fisiche che avete provato
-Pregate se siete credenti
-Meditate: mindfulness aiuta a focalizzarsi sul presente senza giudicare, potete notare le cose per le quali siete grati (calore del sole, sensazioni fisiche piacevoli, colori, suoni, ecc.)

Come afferma professor Emmons: “Rivolgendo l’attenzione alle cose belle del mondo, ci sentiamo naturalmente più gioiosi. Non evitiamo di guardare ciò che è doloroso o cattivo, ma notando il bene quando è presente, non consideriamo il mondo come un luogo squallido dove succedono solo le cose brutte. La vita contiene sia i momenti belli che brutti, ma la gratitudine consapevole aiuta ad apprezzare quelli belli e ci rende più propensi a condividerli con gli altri”.


Le fonti per questo post:
http://greatergood.berkeley.edu/author/Robert_Emmons/

sabato 6 gennaio 2018

Fame nervosa e il mangiare consapevole

A chi non è mai capitato di consolarsi con qualche cioccolatino, gratificarsi con un gelato o di festeggiare un felice evento  mangiando la torta? Fa parte delle nostre abitudini.
 Molte persone utilizzano il cibo per incrementare le sensazioni di piacere, oppure per gestire lo stress, le emozioni scomode, i momenti  conflittuali nelle relazioni o le memorie traumatiche. 
Il mangiare è una strategia di controllo delle emozioni  economica e facile da attuare- il cibo è sempre a portata di mano. Nel frigorifero, o nella dispensa, nel distributore automatico in ufficio, in un bar o al supermercato. 
Il cibo ci fa sentire meglio, lo impariamo sin da piccoli succhiando il latte! A volte ci distrae dalle situazioni difficili e diventa un’ossessione, siamo continuamente focalizzati sul mangiare senza rendercene conto. 
La fame nervosa è così potente, perché usare il cibo per calmarsi  funziona, anche se per pochi istanti. Quando sei stressato e ti viene in mente il tuo cibo preferito e lo mangi, ti senti  immediatamente sollevato. Il cervello registra questo come un successo e si crea un circolo vizioso simile a quello della dipendenza. In effetti , i cibi ricchi in zucchero, sale, grassi provocano il rilascio di dopamina in modo simile a quanto succede nel cervello di un consumatore di droghe. L’effetto positivo è effimero e si lascia dietro i sensi di colpa, fallimento, delusione e rabbia- tutte le emozioni difficili da tollerare. Potremmo ritrovarci presto a volerle sopprimere …mangiando. 
Il punto è che non possiamo smettere di mangiare, è una necessità vitale, dobbiamo dunque  imparare di più sul modo di rispondere allo stress e alle emozioni per trovare le alternative più sane, interrompere il circolo vizioso, acquisire la consapevolezza che ci permetterà di fare le scelte razionali piuttosto che cedere al impulso. 
Tra gli interventi più efficaci che permettono di  migliorare il rapporto con il cibo e con il corpo è oggi considerata la mindfulness, da anni sperimentata con successo nei protocolli per la riduzione dello stress, della depressione e per la prevenzione delle ricadute nelle dipendenze.  Mindfulness o “piena consapevolezza” è una modalità particolare di vivere un’esperienza in modo consapevole, non giudicante, essendo presenti momento per momento a tutto ciò che succede fuori e dentro di noi. Nel ambito della relazione con il cibo, l’allenamento alla mindfulness  costituisce la base dei programmi di mindful eating (mangiare consapevole). Secondo l’autrice di uno di questi programmi, Jean Kristeller, mangiare consapevolmente è:
  •           Prestare attenzione deliberatamente alla esperienza del cibo e del mangiare, senza giudicare
  •           Diventare consapevoli INTERNAMENTE (riconoscere pensieri, emozioni, fame, sapore, pienezza) ed ESTERNAMENTE (conoscere valore nutrizionale di vari cibi)
  •           Riconoscere le differenze fra la FAME FISICA e gli altri stimoli come le emozioni, i pensieri, le pressioni sociali
  •          Scegliere, per quanto possibile, i cibi che ci piacciono e che nutrono il corpo
  •          Sperimentare il sapore del cibo e quanto questo può cambiare il morso dopo morso
  •          Notare come la pienezza cresce nello stomaco e come ci si sente dopo aver mangiato a sufficienza
  •          Usare le informazioni sui valori nutrizionali ed energetici del cibo per fare le scelte più adatte su che cosa e quando mangiare
  •          Investire meno tempo ed energie nelle preoccupazioni riguardo al cibo e più nelle cose importanti della vita



Riferimenti per questo post:
“The Joy of half a Cookie: using Mindfulness to Lose Weight and End the Struggle with Food” di Jean Kristeller e Alisa Bowman
“50 modi per vincere la Fame Nervosa” di Susan Albers

“Mindful Eating” di Jan Chozen Bays

lunedì 4 gennaio 2016

C'è fame e fame...

  Uno dei propositi più gettonati per l’anno nuovo è quello di rimettersi in forma, mangiare meno e sano.
 Le ricerche dimostrano che più delle grandi porzioni e dell’alto contenuto di grassi e di zuccheri, a farci ingrassare contribuisce l’abitudine dello spuntino. Sgranocchiamo qualcosa mentre guardiamo la TV, lavoriamo al PC, leggiamo un libro e in tanti altri momenti della giornata in modo inconsapevole, senza una fame vera e propria. Recentemente gli scienziati hanno scoperto che mangiare senza fame non solo aumenta il peso, ma è dannoso alla salute. Dallo studio condotto dal  prof Brian Wansink su 45 studenti è emerso che la glicemia misurata dopo il pasto a base di carboidrati era nettamente superiore negli studenti che prima di mangiare hanno dichiarato di non aver fame, rispetto a quelli che si dichiaravano affamati. Il rialzo dei livelli di glucosio nel sangue dopo l’assunzione del cibo è fisiologico, ma i picchi eccessivi danneggiano le nostre cellule, perciò per mantenerci in buona salute dovremmo mangiare solo se abbiamo fame.

In realtà, capire  se il corpo ha veramente fame non è affatto semplice.  Pensate a quando, al ristorante, vi sentivate pieni e poi è passato un cameriere con il  vassoio pieno di dolci da favola  … E’ quello che si dice “mangiare con gli occhi”.

Secondo Jan Chozen Bays, l’autrice di “Mindful eating” esistono ben 8 tipi di fame:
1.      Fame visiva- induce a mangiare il cibo che attira lo sguardo, si presenta bene. Possiamo sentirla anche quando vediamo gli spot pubblicitari, guardiamo le trasmissioni che parlano di cucina o sfogliamo le riviste con le ricette. E’ molto potente, fa mangiare troppo, soprattutto a chi è stato abituato sin da piccolo a “lasciare il piatto pulito.”
2.      Fame olfattiva- sentiamo il profumo di pane appena cotto passando davanti al fornaio e ci viene la fame. Siccome il senso dell’olfatto è collegato alla memoria, spesso un odore richiama dei ricordi e delle emozioni: il profumo del ragù che faceva la nonna, e, in un attimo siamo in preda alla fame emozionale.
3.      Fame uditiva- adoriamo il suono delle croccanti patatine che, secondo gli scienziati, aumenta il piacere di mangiarle. Quando ci troviamo in un locale con la musica gradevole, siamo propensi a consumare di più e con più gusto. Quando sentite gli altri parlare del cibo, non vi viene voglia di uno spuntino?
4.      Fame gustativa- la nostra bocca è, secondo Jan Bays, “un’insaziabile caverna del desiderio”, non ne ha mai abbastanza, ama variare i gusti: dal salato, all’aspro, al dolce e i contrasti: dolce-amaro, agro-dolce. Le piacciono anche le varie consistenze del cibo: dal cremoso al croccante. Se le diamo retta…
5.      Fame gastrica- non è affatto semplice individuarla, i crampi allo stomaco e l’aumento di acidità possono essere dovuti anche ad altre cause come il reflusso acido o l’ansia. I segnali di pienezza provengono dalla  distensione delle pareti dello stomaco quando il volume del cibo inghiottito aumenta. Per accorgersene occorre l’attenzione e molta  consapevolezza.
6.      Fame cellulare – Si fa sentire in condizioni di carenza di alcuni nutrienti: quando abbiamo sudato molto e sentiamo il bisogno di bere;  ne sono l’esempio alcune “voglie” in gravidanza o la preferenza per “la minestrina” quando siamo malati
7.      Fame mentale- Sono i pensieri, le conoscenze, le convinzioni riguardo al cibo. Quando facciamo la spesa, leggiamo le etichette e la mente commenta:  “troppe calorie”, “tutti questi grassi insaturi!”, “non posso mangiare questa roba”, “ mai, e poi mai …”, “non dovrei, sono a dieta”. Diventa un problema quando perdiamo la naturale saggezza del corpo riguardo all’alimentazione e ci affidiamo completamente alle informazioni esterne a noi. Perdiamo la capacità del nostro organismo di autoregolarsi.
8.      Fame emozionale- è legata al ruolo che il cibo ha nella gestione delle emozioni. Ognuno di noi ha i suoi “cibi confortanti” preferiti: la cioccolata, il gelato, ecc. Spesso hanno il sapore dolce, perché quando eravamo piccoli gli adulti volendoci premiare, consolare o mostrare il loro affetto ci offrivano qualcosa di “buono”. Perciò ancora oggi quando ci sentiamo soli, tristi, ansiosi, ricorriamo a questi  cibi per consolarci e per mitigare le emozioni scomode difficili da gestire.

Per capire quando il nostro corpo ha bisogno di mangiare,  scegliere il genere e la quantità giusta dell’alimento, occorre imparare a distinguere tra i vari tipi di fame. La pratica di consapevolezza (mindfulness)  insegna a notare la nostra “esperienza di fame” con tutte le sue componenti: le sensazioni fisiche, le emozioni e i pensieri. Prima di mettere un boccone in bocca possiamo chiederci: “Che fame è questa?” e mangiare consapevolmente.

Le fonti per questo post:
http://www.thecenterformindfuleating.org/
http://mindlesseating.org/

martedì 8 settembre 2015

La mente del principiante

       
          Il sapore del cibo, il profumo dei fiori, i suoni di un brano musicale o di un discorso … Tutte le percezioni sensoriali sono influenzate dalle nostre conoscenze, esperienze precedenti  e dalle aspettative.  Siamo in grado di imparare per associazione, ma ciò che impariamo condiziona  a sua volta il modo in cui il nostro cervello percepisce ed organizza le informazioni che provengono dal ambiente attraverso il processo cognitivo chiamato il controllo “top-down”.  

Per esempio, quando vediamo le parole con delle lettere mancanti, il cervello è in grado di riempire automaticamente i vuoti e riconoscere il significato della frase.

In pratica la percezione sensoriale non è una registrazione passiva degli eventi e degli stimoli, ma una costruzione del mondo in base a ciò che già conosciamo e che ci aspettiamo di percepire.
A confermarlo esistono numerose ricerche e fra le più recenti uno studio, condotto sui topi, dall'equipe del neurobiologo prof. Takaki Komiyama della U.C. San Diego che ha permesso di osservare come in seguito al apprendimento il cervello modifica il funzionamento della corteccia visiva incrementando la regolazione “top-down”.

Tutti noi impariamo i comportamenti ai quali siamo esposti durante l’infanzia, restiamo influenzati dalle opinioni, giudizi delle persone a noi vicine e  questo condiziona le nostre percezioni e a volte ci rende schiavi delle credenze, delle convinzioni su come le cose dovrebbero essere.  Praticando mindfulness possiamo riconoscere l'impatto di ciò che abbiamo imparato, prenderne distanza e ricominciare ad esplorare il mondo senza pregiudizi.
“La mente del principiante”,  parte integrante della pratica mindfulness, si riferisce all'idea di lasciar andare i preconcetti ed avere un’attitudine di apertura e di curiosità. 

Quando siamo principianti assoluti in qualsiasi campo, la nostra mente è vuota, ricettiva. Abbiamo voglia di imparare e di cogliere tutte le informazioni, come un bambino alla scoperta del mondo. Più impariamo sul argomento più la nostra mente si chiude. Quando diventiamo esperti e abbiamo “una solida opinione”, qualsiasi informazione ad essa contraria tende ad essere confutata o bloccata.  Crediamo di imparare, ma spesso stiamo semplicemente selezionando le informazioni, aspetti delle esperienze vissute, a conferma di quello che già conosciamo, per validare le nostre ipotesi e giustificare i comportamenti.  Siamo “fusi” con le nostre idee. 
E se queste riguardano noi stessi? Le affermazioni tipo “buono a nulla”, “bighellone”, ”fallito ”, “cattivo” si appiccicano come la seconda pelle, fanno male, condizionano tutta la nostra vita, eppure sono solo opinioni, giudizi, etichette … 


sabato 10 gennaio 2015

L'uomo che non deve chiedere mai ...


     Non si lamenta, non ama le smancerie, non ha bisogno di nessuno,
 è sicuro di sé,  una roccia, ed è anche spesso … molto solo, perché se non chiede, difficilmente potrà essere soddisfatto. D’altra parte già da piccolo si sentiva dire: “chi fa per sé, fa per tre”, “meglio soli che mal accompagnati”, “fidarsi bene, ma non fidarsi è meglio”  e altre perle di saggezza popolare che gli propinava la famiglia. Io sono cresciuta con il mito di autosufficienza, l’indipendenza economica, l’americano self - made man …  Per fortuna c’era il mitico Giorgio Gaber  che lo ridimensionava,  cantando: “mi son fatto tutto da  me, mi son fatto tutto di m…a” (L’Odore, 1974).
 Torniamo però,  al nostro protagonista. Ha un grosso problema al lavoro, ma se gli domandi “come va?”, risponderà “bene, bene!”, come sempre. La moglie da tempo ha rinunciato a chiedergli come sta, perché “tanto quello lì non parla nemmeno sotto tortura”. Lui si sente incompreso, abbandonato, avrebbe voluto che gli altri si accorgessero che sta male, ma da soli, senza che ne dovesse parlare lui, forse con qualche dono di chiaroveggenza  … Sta soffrendo, ma chiedere aiuto vuol dire esporsi, mostrare la propria vulnerabilità. E se poi gli altri …

Indossare la maschera da supereroe (o da supereroina!) è una delle modalità di difesa dalle emozioni scomode. Fa parte delle strategie di evitamento. Lo scopo di questa strategia è assicurarsi che nessuno possa vedere la nostra difficoltà. Nasce dalla paura che, se gli altri vedessero le nostre emozioni, potrebbero prenderci in giro, umiliarci, oppure giudicarci come deboli, debosciati o pazzi, fuori di testa o,  semplicemente potremmo essere ignorati, traditi, abbandonati e …  sentirci ancora più soli. Meglio fare a meno degli altri che restare delusi. Perciò l’apparenza deve essere mantenuta, le emozioni che bruciano ben nascoste.  
L’ACT (La terapia dell’Accettazione e dell’ Impegno) vede proprio nell’evitamento esperienziale una delle principali cause della sofferenza psicologica, in quanto i costi che impone a lungo termine possono portare all’impoverimento della vita, alle rinunce importanti, alle decisioni dettate dalla paura.

In questo caso, il prezzo che paga il nostro supereroe è che la sua vera natura rimane nascosta, non può essere se stesso. Nessuno si accorge che sta male e non può aspettarsi aiuto da nessuno. Non mostra i propri bisogni, perciò nessuno può appagarli. Si sente solo, non capito e insoddisfatto delle sue relazioni.
Per tutti i Superman e tutte le Wonder Woman l’unico modo per cambiare questo schema è imparare a chiedere aiuto, stare con le emozioni scomode, correre il rischio perché ….
“CHI NON RISICA, NON ROSICA”


Le fonti per questo post:
M .McKay, P. Fanning, P.Zurita Ona “MIND and EMOTIONS” (New Harbinger)